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SU GUERRA E PANDEMIA

LO STATO D’EMERGENZA GENERA MOSTRI GIUSTIFICANDO L’USO PERMANENTE DEI DISPOSITIVI AUTORITARI

Per oltre due anni siamo stati sottoposti allo stato di emergenza sanitario.

Due anni che sono serviti per addestrare le persone a vivere in una condizione di pesante assoggettamento. A molti era chiaro che se non ci fosse stata una ribellione contro tutti i dispositivi che lo incarnavano (lockdown, green pass, obbligo vaccinale, ecc.), questa condizione di perdita della libertà sarebbe potuta durare oltre la fine della pandemia e divenire permanente.

Infatti non è giunto a termine uno stato di emergenza che, senza battere ciglio, il Governo ne vara un altro: quello legato al sostegno della guerra in Ucraina e alla competizione tra potenze militari per il controllo dei territori e delle risorse energetiche.

Grazie alla dichiarazione di questo nuovo stato di emergenza l’Italia può inviare armi ad un paese in guerra, partecipando indirettamente ad un conflitto contro una potenza nucleare.

La dimensione dell’emergenza è quindi la cifra del tempo presente, e del futuro che ci attende.

Governando tramite l’emergenza si è abolita ogni mediazione tra chi detiene il potere e chi lo subisce.

Il tutto giustificato in nome di una falsità: un presunto interesse comune che unirebbe chi sta in alto con chi sta in basso (sconfiggere il terrorismo, debellare una pandemia, fermare l’avanzata dei cosacchi).

Che chi sta in alto trae profitto da queste emergenze e chi sta in basso ne paga il prezzo è cosa che si mette in secondo piano. I colossi del farmaco, dell’economia digitale, della finanza, del settore energetico e di quello militare si arricchiscono e accrescono il loro potere gestendo le crisi.

Noi, che stiamo in basso, ne paghiamo le conseguenze: per quanto riguarda il Covid, tramite l’impossibilità di accedere a servizi sanitari adeguati, con l’esclusione dal mondo del lavoro per chi non accetta l’obbligatorietà terapeutica e la privazione della nostra vita sociale e relazionale; per quanto riguarda la guerra, attraverso l’aumento delle bollette e dei beni di prima necessità, senza parlare dei pericoli a cui siamo sottoposti.

Il Presidente della Repubblica italiana ha dichiarato che “la normalità che perseguiamo non sarà comunque il ritorno al mondo di prima”.

Ma il “mondo di dopo” sarà quello di cui abbiamo avuto anticipazione in questi ultimi due anni?

Sarà abitato da questa vita diminuita, dominata dalla paura, ridotta ai minimi termini della sopravvivenza? Saremo obbligati ad una esistenza a punti in cui i diritti diventano concessioni, in cui il distanziamento sociale è il modello delle relazioni, in cui il nostro stesso corpo non ci apparterrà?

In molti non vogliono che questo mondo si affermi, vogliono un’altra vita. Migliore per giunta anche di quella “di prima”, fatta di emergenze abitative, ambientali, sanitarie e lavorative.

Che si compia la catastrofe o meno non dipende dagli astri, dipende anche da noi. Dalla rassegnazione dipende la nostra riduzione allo stato di servitù. Dal nostro rifiuto, dalla capacità di trasformarlo in azione e in progetto passa la possibilità di un diverso finale. Per rompere la gabbia, sempre più stretta, in cui ci stanno rinchiudendo non dobbiamo concedere al nemico più nulla: riprendiamoci la vita, le strade, le piazze.

Affermiamo che la cura per la presente e le future emergenze concepite dal capitale non sta nella sottomissione ma nel coltivare, costruire e difendere l’autonomia delle nostre comunità.

Affermiamo le esigenze degli esseri umani contro quelle della merce.

Affermiamo, qui ed ora, la nostra necessità di vivere una vita piena, il nostro desiderio di bellezza, gioia, amore.

Roma, 4 marzo 2022

Assemblea Romana contro il green pass

nogreenpassroma.org